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Non solo Champagne

“Rallentare, spogliare non imbrogliare”: Giulio Ferrari in verticale (e in magnum…)

Quella svoltasi la settimana scorsa a Verona, organizzata dalla locale delegazione AIS e con la partecipazione dell’enologo di casa Ferrari, Ruben Larentis, è stata una serata davvero speciale....
di Alberto Lupetti

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore

Quella svoltasi la settimana scorsa a Verona, organizzata dalla locale delegazione AIS e con la partecipazione dell’enologo di casa Ferrari, Ruben Larentis, è stata una serata davvero speciale. Non tanto per la presenza delle grandissime bottiglie, anzi magnum di Giulio Ferrari Riserva del Fondatore in verticale (un viaggio nel tempo di circa vent’anni!), quanto, piuttosto, per la degustazione, condotta dallo stesso enologo. Ruben Larentis opera sin dal 1986 nelle Cantine Ferrari e quella di quest’anno è la sua 32ma vendemmia, mentre il Giulio Ferrari è lo spumante in assoluto più prestigioso della gamma fin dalla sua prima uscita, con il millesimo 1972. Ormai celebre come ‘il’ Metodo Classico italiano di riferimento sia nel nostro Paese, sia all’estero, questa bollicina ha da sempre come obiettivo quello di portare avanti la storia, la coerenza e la filosofia nata con il ‘siorGiulio Ferrari e perpetuata nel tempo dalla famiglia Lunelli, cui va il merito di aver voluto dedicare a queste prestigiose bottiglie il nome del suo fondatore.

Ruben Larentis
Oramai è un volto noto di LeMieBollicine: il grande Ruben Larentis, chef de cave di Ferrari.

Giulio Ferrari era principalmente un vivaista e creare uno spumante per la prima volta in Trentino fu, per lui, quasi una provocazione. Non avendo eredi, decise di cedere la sua attività alla famiglia Lunelli ed è qui che nasce quell’importante passaggio di testimone che ormai tutti conosciamo. Come sappiamo, Giulio rimase, su richiesta dei Lunelli, in azienda a lavorare e oggi molti lo ricordano ancora per la sua ossessione per il controllo qualità. Passò, in seguito, il testimone a Mauro Lunelli e fu proprio quest’ultimo che nel 1972, dopo una visita a Krug, ça va sans dire, ebbe l’idea di lanciare un vino che avesse almeno 8 anni sui lieviti, in un tempo in cui gli spumanti che si bevevano sostavano sui lieviti poco più di 4 mesi. Creò solo poche migliaia di bottiglie utilizzando il miglior Chardonnay di proprietà e non dicendo nulla ai fratelli Franco e Gino fino a quando, nel 1980, lo fece loro assaggiare: lo trovarono immediatamente straordinario. Fu così lanciato, a 15 anni dalla sua morte, il Giulio Ferrari e, da allora, verrà prodotto solo nelle annate eccezionali. Va infine plaudita ai Lunelli l’intuizione di affidare nel 1986 la cantina e questa importante eredità a uno chef de cave visionario, esigente e ugualmente maniacale quando si tratta di ricercare qualità, il summenzionato Ruben Larentis.

Mauro Lunelli
Un grande del vino italiano: Mauro Lunelli. È stati lui a ‘inventare’ il Giulio Ferrari.

È opportuno, tuttavia, ricordare che siamo in Trentino, dove le caratteristiche climatiche agevolano un metodo che necessita – i francesi insegnano – di un clima fresco, a tratti rigido e mai troppo umido, nonché di escursione termica, una certa altitudine dei vigneti e un’ottima esposizione solare. Tutto ciò avvantaggia in modo particolare lo Chardonnay, che proprio qui trova la sua enclave migliore, ottenendo quella lentezza di maturazione e quella base acida vincente che gli permettono di portare avanti la longevità negli anni. Le uve Chardonnay utilizzate per il Giulio Ferrari provengono esclusivamente dal vigneto Maso Pianizza, favoloso Cru con un’esposizione a Sud-Ovest e posto sul pendio che guarda la riva sinistra d’Adige. Ha un’estensione di circa 15 ettari suddivisi in una ventina di parcelle; tuttavia, non tutte verranno utilizzate per la base del Giulio Ferrari. Un Cru, infine, che ha la fortuna di essere baciato dal sole fino al tramonto e questo è determinante per il vino perché la longevità, sostiene Ruben, “non è data dall’acidità, ma dal tipo di maturità dell’uva”.

vigneti Ferrari
Maso Pianizza, il Cru più prezioso dei vigneti Ferrari e cuore del Giulio Ferrari.

La degustazione si è svolta in modo inconsueto per noi ‘sommelier’ in quanto lo stesso Ruben ha chiesto non ci fosse consecutio temporum delle annate bensì un ordine non logico e non sequenziale, questo per non avere troppe aspettative tra un’annata giovane e una più vecchia. Sei calici di Giulio Ferrari diversi come personalità e caratteristiche di annata ma, proprio per questo, interessanti e significativi, sia per chi assaggiava, sia per chi li ha prodotti. Preceduti, come mise en bouche, da un classico millesimato di Ferrari…

 

Ferrari Perlé

Perlé 2007

100% Chardonnay
(dosaggio 6 g/l, sboccatura 2012)

Ruben: “Uno spumante che ben rappresenta lo Chardonnay in Trentino: la delicatezza, la freschezza, la pulizia, ma soprattutto la morbidezza, che è l’aspetto che noi ricerchiamo maggiormente. Una morbidezza, tuttavia, mai dolce o stucchevole. Oggi lo farei con qualche grammo di zucchero in meno, anche se questa mobridezza è ricercata dagli amanti del Perlé. Assemblaggio di più vigneti di proprietà, è sicuramente il Ferrari più conosciuto, per la sua trasversalità e la sua bevibilità. Tuttavia, se si beve questo prima del Giulio Ferrari in una (grande) annata, si ha la possibilità di sentire la differenza: il Giulio dona qualcosa in più in bocca, nonostante, a volte, anche le grandi annate di Perlé possano arrivare ai suoi livelli. Assaggiando le vecchie annate in ogni caso, ho capito che è necessario rallentare un po’ la ricerca della potenza nei vini: più questi, infatti, sono puliti e leggeri, più invecchieranno meglio…”.

Degustazione: vino folgorante per intensità e profondità delle sue sensazioni aromatiche. Frutta secca, nocciola, tostature di caffè, tabacco biondo… uno Chardonnay maturo e ricco, ciononostante ancora fresco, fragrante, dalle numerose sfaccettature e dal dettaglio olfattivo nitido, preciso. L’ingresso al palato è fresco, appagante e voluminoso, quasi materico, dalla dolcezza agrumata e con uno sviluppo di grande dinamismo, nonché un centro bocca saporito, pieno. Di persistenza distintiva, ma con un finale ancora leggermente dolce, questo a dimostrazione che Ruben non ha tutti i torti quando asserisce che serviva probabilmente un dosaggio inferiore…
Voto: 92/100

 

La verticale in magnum di

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore

100% Chardonnay

Degustazione Giulio Ferrari 

2005

“ricchezza e intensità”
(vendemmia tra il 10 e il 15 settembre, tiraggio luglio 2006, sboccatura febbraio 2016, dosaggio 3 g/l)

Ruben: “Annata non semplice da gestire, forse una delle più complicate per il dosaggio: difficile capirne la quantità esatta a causa della ricchezza di frutto. Un vino che al naso propone agrumi, bergamotto e una nota di lievito abbastanza decisa, mentre in bocca arriva il frutto bianco, ma con un sorso che si concede poco, rigido. Si intuisce che evolverà benissimo, tuttavia, ci si aspettava più morbidezza. Evidentemente la carica di frutto qui era molto alta e, da sempre, io sostengo che quando c’è tanto frutto il vino diventerà longevo: è quando finisce il frutto che iniziano i terziari, la complessità, l’ampiezza. Non sono tuttavia completamente soddisfatto, percepisco un certo sentore di lievito al naso e trovo che questo frutto non riesca completamente a uscire. E non è detto nemmeno che negli anni sarà in grado di farlo… Il vino è imprevedibile, l’enologo non può decidere tutto e a volte il vino lo subisce: se vuoi decidere tutto, crei già in partenza un vino morto...”.

Degustazione: calice luminosissimo, scalfito da pennellate oro, quasi ipnotiche. Il naso è un crescendo impressionante di riconoscimenti: agrumi, fiori bianchi (bergamotto), tostature, burro fresco, pasticceria… un disegno aromatico trasparente, cristallino ma intenso ed energico. Al palato è fresco, cremoso, quasi granitico, compatto e succoso a centro bocca; con il crescere della temperatura svela una tenera morbidezza che appassiona. Ha grande profondità e allungo, lascia una piacevole scia salina nel finale. Invecchierà straordinariamente.
Voto: 93/100

 

1994

“essenzialità e morbidezza”
(vendemmia tra il 15 e il 20 settembre, tiraggio maggio 1995, sboccatura gennaio 2016, dosaggio 4 g/l)

Ruben: “Questa fu una bottiglia determinante per la storia del Giulio Ferrari. L’assemblaggio finale del vino base, infatti, venne fatto con la malolattica svolta solo in parte, allo scopo di migliorare la morbidezza in un‘annata in cui i toni di rigidità erano elevati. Fino a 8 anni sui lieviti il vino mantenne buon equilibrio, negli anni seguenti, tuttavia, la malolattica si concluse in bottiglia aumentando, forse eccessivamente, la morbidezza. Fu una scelta che comportò troppi rischi e, per evitare questo, dal 1995 abbiamo scelto di svolgere completamente la malolattica, o, al massimo, lasciare meno di 1 g/l di acido malico per avere un vino con più precisione, dettaglio, nitidezza. Oggi il 1994 è un vino di 23 anni che, probabilmente, all’assaggio sta subendo un po’ questo errore del passato”.

Degustazione: sostenuto e opulento all’olfatto, contraddistinto da spezie (zenzero), fiori gialli, note fumé, di torrefazione. Un naso ricco, potente, quasi barocco. Intenso, sfaccettato e concentrato al palato, risoluto e denso, contraddistinto leggermente da questa cera d’api che lo frena un po’, probabilmente destinata a non migliorare nel tempo. Una maturità tanto appagante quanto ingabbiante, che diventa quasi una camicia di forza per la distensione del vino. Con l’evoluzione, tuttavia, emerge l’indiscussa eleganza.
Voto: 89/100

Magnum Giulio Ferrari

2000

“maturità e opulenza”
(vendemmia tra il 12 e il 15 settembre, tiraggio giugno 2001, sboccatura gennaio 2016, dosaggio 3 g/l)

Ruben: “Una delle vendemmie più anticipate in Trentino, con uve sane, di grande maturità e con discreto equilibrio tra zuccheri e acidità. Un’uva, quindi, dalla grande intensità aromatica, ricca. Oggi, questo è un vino ancora opulento: ogni volta che lo assaggio spero che si sia alleggerito, spogliato, ma vedo che fa fatica… e il tempo passa. Se si alleggerisse, sarebbe straordinario, più profondo, tuttavia, è un vino che rispecchia molto l’annata e noi in Ferrari abbiamo come priorità quella di rispettare le caratteristiche della stessa, anche quando questa emerge nelle sue irrisolutezze. La 2000 è certamente l’annata più ricca di frutta matura degli ultimi anni”.

Degustazione: colore intenso, luminosissimo e dai riflessi oro, che denota ancora grande giovinezza e ricchezza di materia. Al naso nocciola e frutta secca, ma anche fiori (bergamotto), agrumi, burro di montagna. Il sorso è voluminoso, ma allo stesso tempo leggiadro, ampio e vellutato. Qui la famosa morbidezza, tanto ricercata da Ruben, raggiunge l’apice e il sale, mai aggressivo, sfuma con una freschezza che insiste nel finale. La bollicina, finissima, solleva e rimescola le sensazioni, in un tripudio di sapori e ricordi olfattivi che ritornano al palato e insistono nel finale. Ottima la scelta del dosaggio. Un grande potenziale, ancora inespresso del tutto, che porterà questo vino molto lontano.
Voto: 92/100

 

2004

“carattere e profondità”
(vendemmia tra il 20 e il 25 settembre, tiraggio giugno 2005, sboccatura ottobre 2015, dosaggio 2,5 g/l)

Ruben: “Un’annata tardiva, qui siamo quasi tornati alle vendemmie degli anni ‘90. La difficoltà stava nel cercare l’armonia, il vino, infatti, era un po’ scontroso, rigido, difficile da gestire, nonostante l’aiuto con il dosaggio. Oggi è un vino espressivo, deve solo migliorare sull’allungo, probabilmente con il tempo ci riuscirà, ma è anche possibile non ci riesca. Ha, comunque, una bella profondità, forse il più profondo della batteria di stasera. Questa è stata la prima annata come ‘extra-brut’ e qui ho semplicemente cercato di assecondare, enfatizzare questa rigidità. Rispettare l’annata, significa vincere, perché in questo modo il vino non ti si rivolta contro”.

Degustazione: naso austero, frutta matura, si legge l’annata rigida, fredda. Si avvertono la pesca bianca, il burro fuso poi le erbe aromatiche, le suggestioni balsamiche, una freschezza di sottobosco, note di cenere, fumé e, con il crescere della temperatura, note di caffè. Il sorso è pieno, vellutato e con un allungo risoluto pervaso di crema, agrumi e sale in un continuum intrigante e seducente, la bollicina è fine e carezzevole. Leggermente ovattato e ammandorlato il finale. Ottimo al debutto, oggi sembra un po’ essersi chiuso, ma credo proprio che sarà capolavoro, visto che è in pieno divenire.
Voto: 92/100

Degustazione Giulio Ferrari

 

2001

“intensità e leggerezza”
(vendemmia tra il 20 e il 23 settembre, tiraggio giugno 2002, sboccatura luglio 2013, dosaggio 5 g/l)

Ruben: “È sicuramente quello che richiede più pazienza e concentrazione… È un vino fatto di sottili sfumature, nelle quali non vi è mai una stonatura. Il sorso sembra leggero, ma in realtà è molto espressivo, non finisce mai di darci qualcosa. L’olfatto è fatto di piccole suggestioni, ma con una stoffa qualitativamente straordinaria. Un vino che probabilmente farà molta strada. È divertente osservare come si sorpassino i vini nel tempo, vini che sembravano incredibilmente diversi anni fa rallentano in corso d’opera lasciandosi superare da altri che sembravano minori. Anche per questo insisto a dire che bisogna sempre rispettare i vini, la loro annata. Solo ora, ripensando al 2004, mi rendo conto di quanto fosse rigido”.

Degustazione: un tono evolutivo sofisticato, sotto il quale emergono note di pasticceria, tostature, spezie (zafferano) fiori gialli essiccati e, con la collaborazione dell’ossigeno, castagna, sottobosco e rugiada. Il sorso è fresco e ricco, espressivo, dall’allungo flessuoso ma vellutato nella distensione, ampio. Ritorna il burro di montagna, salato, insieme ai ricordi agrumati. Probabilmente il più equilibrato della serata e forse quello che più si avvicina all’idea di Giulio Ferrari.
Voto: 93/100

 

1986

“maturità e complessità”
(vendemmia tra il 17 e il 20 settembre, tiraggio aprile 1987, sboccatura maggio 2017, dosaggio 3 g/l)

Ruben: “Io arrivai in azienda nell’85 e, quando fu il momento di approcciarsi a questo vino, ero molto giovane. Tuttavia, i Lunelli mi diedero voce in capitolo sin dall’inizio e il mio apporto qui lo ricordo come fosse ieri. Fu una vendemmia abbastanza equilibrata, meno complicata di quelle che ci troviamo ad affrontare oggi. Uscì dosato a 10 grammi e, nonostante questo, nessuno osservò che era troppo dolce, a dimostrazione del fatto che il palato cambia nel tempo, ed è cambiato tantissimo da allora lo stesso vino. Fu un’annata felice, che diede uve ricche nel loro patrimonio aromatico, accompagnate da un’ottima acidità. I vini base erano elegantissimi, di grande leggerezza, ma soprattutto di grande armonia e con un’indubbia capacità di invecchiamento”.

Degustazione: incredibile freschezza a sostegno di un naso ricco, sfumato e fitto e che propone tutta la profondità del sottobosco, insieme al miele di castagno, le spezie, le note di zafferano che, con il tempo e l’apporto dell’ossigeno, si fanno più austere, scure. Il sorso, è pieno, opulento, leggermente frenato da queste note di cera d’api, anche se appagante e fresco. Una bella articolazione di palato ne rende, tuttavia, scorrevole il dinamismo di bocca, che assume una bella progressione donando un finale lunghissimo. Talento evolutivo fuori dal comune, un capolavoro a tavola e ovunque.
Voto: 94/100

Vania Valentini
L’autrice dell’articolo durante la degustazione di Giulio Ferrari.

Rallentare, spogliare, non imbrogliare”. Come osservato in sala dalla collega e amica Costanza Fregoni, questa espressione è stata impiegata da Ruben durante la serata, il che ci ha colpito molto. Ruben Larentis è una persona estremamente riservata ed esigente, verso se stesso e gli altri, ma ciò che ha impressionato tutti noi è l’estrema dedizione, l’umiltà e il rispetto con i quali approccia, ogni volta, il vino che dovrà gestire. A tratti ne è addirittura intimorito, consapevole del fatto che, rispettandone la natura, questo ‘liquido’ sarà imprevedibile, come è giusto che sia. Lo accompagna durante il suo percorso, lo monitora, ne è divertito quando il vino, nel tempo, risponde in modo inusuale, rassegnato quando non manifesta quello che si aspettava e… soddisfatto quando diventa un grande, come alcune delle bottiglie assaggiate durante la serata. Ma la soddisfazione più grande rimane certamente quella di riuscire a creare bottiglie che parlino di un territorio, in questo caso il Trentino, di un’annata, di una tradizione e di una filosofia di famiglia, anche dopo tanti anni. E quando vi è tutto questo, il vino non può che diventare uno dei più grandi spumanti italiani. E del mondo.

Al termine, durante la cena, è stata servita la novità di casa Ferrari, il rivoluzionario Perlé Zero, di cui ha già parlato Alberto su questo stesso sito…

www.ferraritrento.it

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22 risposte a ““Rallentare, spogliare non imbrogliare”: Giulio Ferrari in verticale (e in magnum…)”

  1. Grazie per l’articolo, come sempre molto interessante….
    Non vorrei entrare in “tecnicismi”, ma sono rimasto colpito dalla questione Malolattica.
    Giustamente il buon Larentis ci parla dell’importanza della giusta presenza della componente Frutto per la longevità del vino, ma ovviamente il tutto poi deve avere il giusto compromesso con una “certa” Morbidezza. Il cruccio di ogni Chef de Cave direi….
    Insomma, il Lunelli Boss si innamora dell’arte “champenoise” da Krug ed il suo Chef de Cave, da un certo punto in avanti… fa svolgere la Malolattica alle sue migliori cuvée da invecchiamento ?!
    Il tutto mi ha strappato un certo sorriso…
    🙂
    Saluti

  2. Caro Alberto, recentemente, su insistenza di Marco, ho avuto la fortuna di degustare “Giulio” 1992 in magnum. Veramente al di sopra delle mie aspettative. Pur con debite proporzioni, oserei dire che alla cieca poteva essere scambiato per un DOMP. L’ho sempre considerato sul podio degli spumanti italiani, se non il migliore per costanza di qualità nel tempo e questa splendida magnum di 92 ne è stata la conferma. Giusto per dirti, dopo è stato servito un Dom Ruinart 96, forse la bottiglia non era al 100% ma è passata via “inosservata”. Complimenti per la verticale!!
    Ciao, a presto.

    • Ciao Stefano!
      Ops, Marco chi? Comunque, mi fa piacere sentire che il Giulio, seppure in magnum, abbia tanto colpito. Oddio, forse l’accostamento al DP mi sembra azzardato, ma se hai avuto questa impressione… Sai che tutti abbiamo sensibilità e memoria olfattiva differenti, quindi lungi me dal gridare allo scandalo.
      Fermo restando che non è la prima volta che ripeto che Ferrari è a mio avviso il top in Italia quando si parla di bollicine.
      Dom Ruinart 1996: non è la prima volta che sento una cosa del genere, anzi è capitato anche a me. Sospetto un lotto di tappi non perfetto, perché la sensazione porta proprio verso questa ipotesi. Urge un nuovo test insieme, alla prima occasione…

  3. Ciao Alberto
    Innanzitutto ti faccio i complimenti per lo spettacolo della guida dello champagne, è davvero un ottimissimo lavoro e mi sarà estremamente utile. Volevo farti una domanda. In questa degustazione la bravissima Vania ha provato un Giulio in magnum 2005, vi risulta ci siano diverse sboccature? Qui dice 2016 mentre le 2 che ho appena acquistato hanno 2017. Pensi che una possa stapparla per Natale? O è meglio aspettare un anno dalla data?
    Grazie mille
    Marco

    • Grazie!

      Solitamente le top cuvée, soprattutto se in magnum, sono degorgiate per piccoli lotti e questo vale anche per il Giulio. Io aspetterei, sì: una magnum che ha passato 11 anni si lieviti esige un attenta di almeno un anno. Se non due!
      Mi spiace di aver rovinato il Natale…

      • Grazie Alberto
        Ma non hai assolutamente rovinato niente! Vorrà dire che stapperemo altro più pronto, magari al suo posto porto un lunelli 2008 e un De Sousa caudalie, tu mi insegni che cadremo in piedi ugualmente
        Marco

  4. Grande spumante Giulio Ferrari, viva il made in Italy.
    Peccato che è totalmente una COPIA degli Champagne francesi. Metodo francese, uva francese, chardonnay, stile francese, ed enologo francese.
    Le volevo chiedere, Alberto Lupetti, perchè elogiare questo prodotto italiano se non ha nulla di originale e di italiano ma un tentativo di copia di antiche Maisons francesi?

    • Ma vogliamo scherzare? Ha mai sentito parlare di terroir? È questo a fare la differenza tra due vini apparentemente simili, dalle varietà utilizzate fino alla metodologia produttiva. La Champagne è una cosa, la zona di Trento un’altra, quindi trovo sia assolutamente scriteriato parlare di ‘tentativo di copia’. Suvvia…
      Buona domenica

      • Scusi lei mostra questi prodotti come l’orgoglio del made in Italy.
        Ma per esempio con tutti i vitigni autoctoni italiani, queste aziende scelgono casualmente proprio l’uva Chardonnay della Champagne?
        Per fortuna esiste il terroir che li differenzia. Ma l’intento delle aziende che producono il trento doc, franciacorta, è quello di copiare, emulare lo stile francese degli champagne. Poi però fanno la furbata “all’italiana” di cambiare una virgola, nella produzione o solo nell’estetica della bottiglia, e così fanno credere ai non esperti di essere diversi, di avere un proprio stile. Questo potrebbe spiegarlo nei suoi articoli, visto che ha un sito specifico dove molti, non addetti ai lavori, leggono e poi si atteggiano a sapienti,. I “so tutto io” che troviamo ormai in giro dappertutto. Un Asti spumante o un Prosecco, che se ne dica, sono molto più made in Italy anche se meno di pregio.

        • Mi spiace ma sono in disaccordo. Se un uva si presta particolarmente bene alla spumantizzazione all’estero secondo una metodologia collaudata, perché non provare a replicarla altrove? Non scimmiottando, ma con l’impronta di un altro terroir e, magari, un’esperienza che, nel tempo, dà anche una forte connotazione personale. Non dimentichi che Ferrari ha oltre 100 anni di storia a Trento, quindi possiamo parlare di realtà autoctona.
          In proposito le chiedo: perché tanto astio verso Ferrari? C’è qualche problema personale?
          Altro esempio. Quali sono i due vini italiani più noti e celebrati all’estero? Sassicaia e Masseto, uno a base di Cabernet e uno di Merlot. ma per questo possiamo dire che non siano pilastri del vino Made in Italy?
          Attenzione che il campanilismo miope e rigoroso, quindi fine a se stesso, non porta da nessuna parte e chiudo dicendo che la mania di spumantizzare a tutti i costi uve autoctone finora non ha dato risultati al top. Chardonnay e Pinot Noir ancora stravincono, senza essere brutte copie…

          • In TV e nei vari corsi di degustazione, anche ai futuri tecnici si insegna sempre che un vero vino italiano dovrebbe provenire da vitigni autoctoni visto che l’Italia è l’unico Paese ad avere un patrimonio genetico illimitato. Poi però quando si leggono le etichette dei “migliori” vini italiani si legge tutto il contrario e lei mi fa pure notare che il Sassicaia e il Masseto sono fatti con uve francesi. è solo un mio punto di vista, però è una vergogna! Non so chi comprerebbe una alfa romeo se avesse il motore renault. Perchè comprerei direttamente la macchina renault. A meno che non ci fosse tutta una pubblicità fatta dai vari siti specializzati che dica che l’Alfa romeo sia il fiore all’occhiello dell’italia. è questo il problema di ciò che lei scrive nei suoi articoli.

          • In TV (scusi, ma ancora diamo retta alla TV?) e in molti (troppi?) corsi di degustazione si sentono cose che… meglio non commentare!
            Comunque, se il suo campanilismo in fatto di vini è così estremo da rasentare il radicalismo, beva solo vini autoctoni. Anche se ciò rappresenta poi una visione decisamente miope della passione (e del piacere…) vinicola. Infatti, perché limitarsi?
            Se permette, le consiglio una cosa: beva e usi come discriminante il fatto che le piaccia o meno. Poi, al limite vada a vedere se bio, se da uve autoctone o meno, eccetera, eccetera. Come eventuale plus. Tutto il resto non conta…

  5. In realtà oggi se uno acquista Mercedes(su alcune classe A e classe C) si ritrova proprio un motore Renault nel cofano….tanto meglio allora acquistare una Dacia…

  6. Salve Alberto,
    volevo chiederle, se fosse possibile, qualche opinione sul Giulio Ferrari.
    Seguo puntualmente Davide Lacerenza e le sue serate in Gintoneria sempre con bottiglie a dir poco pazzesche, e ho notato che Davide ha “mitizzato” il Giulio Ferrari annata 2001, lo considera proprio il migliore che ha mai assaggiato.
    Volevo chiederle un parere proprio riguardo a questo, secondo lei è davvero così tanto buono?
    Lei lo considera il migliore degli ultimi anni?
    A suo parere, mi potrebbe elencare la Top 5 delle migliori annate di Giulio Ferrari?
    Grazie e tanti complimenti per gli splendidi articoli e per la guida.
    Un grande Saluto

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